"Come posso risolvere i miei problemi soltanto parlando?" Questa domanda, sicuramente legittima e che più volte mi è stata posta, è connessa a un pregiudizio abbastanza diffuso secondo cui dallo psicologo si andrebbe per fare "solo una chiacchierata", e che assimilerebbe quindi la conversazione con lo psicologo a quella con un amico o un parente.
Se da un lato è pur vero che dallo psicologo si parla (e non poco), dall'altro 1 - le conversazioni sono "speciali" (dove per "speciali" intendo dire che hanno un intento terapeutico), e 2 - nelle stanze degli psicologi si fa molto altro oltre a parlare. Ma andiamo con ordine. Che cosa significa che le conversazioni con lo psicologo sono "terapeutiche"? Nella letteratura psicologica “cambiamento” è tra i termini più citati e allo stesso tempo non esiste un’idea comune su cosa in effetti sia il cambiamento terapeutico.
Quando parliamo di cambiamento in psicoterapia, lo possiamo intendere come la scomparsa di un sintomo, come la soluzione di un problema, come un cambiamento a livello comportamentale o a livello emotivo, come un cambiamento di pattern interattivi, oppure ancora come un cambiamento di strutture profonde come la personalità, ecc. Su un punto, però, tutte le psicoterapie sono d'accordo: la via maestra per il cambiamento in psicoterapia è quella che riconosce ed esalta il ruolo delle emozioni. Il germe di questa idea, che ad oggi sta prendendo sempre più piede in tutti gli approcci terapeutici anche grazie ai contributi delle neuroscienze, lo si può in realtà già riscontrare in tempi più remoti.
La capacità di dire “no” è fortemente correlata a come percepiamo i nostri confini.
Un senso fisicamente sentito dei confini, al quale fare ricorso per aumentare la sensazione di stare bene e di essere al sicuro, è una risorsa essenziale. Un confine rappresenta un limite, una barriera. Tutte le volte che facciamo delle scelte, che diciamo sì ad alcune cose e no ad altre, che ci orientiamo verso alcune persone o situazioni e allontanandoci da altre, stiamo mettendo dei confini. Se abbiamo buoni confini siamo in grado di proteggere noi stessi e di fare scelte coerenti con i propri bisogni, desideri, inclinazioni, ecc. Al contrario, in assenza di buoni confini corriamo il rischio di non essere in grado di fare scelte, di accondiscendere alle richieste degli altri, sopportare violazioni ripetute, porre aggressivamente dei limiti o ritirarci dal contatto. L'utilizzo del paradosso in terapia è una strategia tipica delle terapie sistemiche, introdotta, sperimentata e perfezionata tra gli anni '50 e '70, ed oggi ancora molto sfruttata dai terapeuti sistemici.
Uno dei primi interventi paradossali con finalità terapeutiche è rintracciabile in Verso un’ecologia della mente (Bateson, 1977). Bateson racconta di una psichiatra, la dottoressa Frieda Fromm-Reichmann, la quale aveva in cura una ragazza schizofrenica che si era rifugiata in un mondo immaginario abitato da potenti dei.
C'era una volta un tale che chiese al suo calcolatore: “Calcoli che sarai mai capace di pensare come un essere umano?”. Dopo vari gemiti e cigolii dal calcolatore uscì un foglietto che diceva: “La tua domanda mi fa venire in mente una storia…”. G. Bateson, M. C. Bateson[1] Ciascuno di noi ha dentro di sé un romanzo familiare e ogni famiglia ha una storia da raccontare. A. A. Schützenberger[2] A furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie. D. Wallace[3]
A partire dagli anni ’90, la terapia sistemica è stata influenzata dall’incontro con la terapia narrativa, incontro che ha favorito il passaggio da una prospettiva sincronica - tipica del periodo strategico-sistemico - a una prospettiva diacronica, e che ha nel tempo portato a sviluppare un interesse per le storie, come esse si costruiscono e come sono costruite (Boscolo, Bertrando, 1996).
Con l’apertura della scatola nera[4] a metà degli anni ’70, la terapia sistemica ha cominciato a interessarsi alle connessioni tra eventi e significati (Boscolo, Bertrando, 1996), riscontrando come i sistemi umani che producono sintomi e sofferenza tendano a ingabbiarsi in storie deterministiche in cui il passato determina il loro presente e vincola il futuro (Boscolo, Bertrando, 1993). Scrivono White ed Epston (1989, p.19): “Nel tentativo di dare senso alla vita, le persone affrontano il compito di collocare le proprie esperienze degli eventi in sequenze temporali, in modo da arrivare a un resoconto coerente di se stessi e del mondo intorno a loro. Specifiche esperienze di eventi del passato e del presente, insieme a quelle che si prevede si verifichino nel futuro, devono essere connesse in una sequenza lineare per sviluppare questo resoconto. Al quale ci si può riferire come una storia o un’autonarrazione. Il successo di questo processo di costruzione delle storie fornisce alle persone un senso di continuità e significato rispetto alla propria vita, ed è su questo che possono fondere il senso della vita quotidiana e l’interpretazione delle esperienze future”. In questa concezione, la sofferenza che conduce le persone a cercare un aiuto terapeutico può essere letta come espressione di un’inadeguatezza tra le storie che le persone raccontano di se stesse e la propria attuale esperienza, oppure della discrepanza tra la loro esperienza e le storie che gli altri raccontano di loro. Il processo terapeutico diviene allora soprattutto un processo di rinarrazione delle storie, in cui le persone recuperano la possibilità e la capacità di essere autori – tramite l’interazione col terapeuta – di storie positive per sé, che attenuino la sofferenza e che restituiscano senso. L’Albero della Vita è uno strumento della psicologia narrativa ideato da David Denborough, che si basa sull’idea di usare l’albero come metafora per raccontare la storia della propria vita passata, presente e futura. La persona è invitata a pensare all’albero, alle sue radici, tronco, rami, foglie, ecc. e di immaginare che ogni parte rappresenta qualcosa della sua vita.
Le domande sono un potente strumento di conoscenza, scoperta e cambiamento e saper porre (buone) domande è una vera e propria arte.
Gli psicologi sistemici lo sanno bene, e dedicano buona parte della loro formazione a imparare a fare domande. Lo psicologo sistemico formula domande sulla base di ipotesi, che a loro volta vengono elaborate connettendo idee, mappe cliniche, narrazioni, emozioni, vissuti, premesse e pregiudizi. Tra i vari tipi di domande tipiche dello psicologo sistemico, quelle più utili a favorire il cambiamento sono senza dubbio le così dette domande riflessive. La rabbia è un'emozione che tutti noi conosciamo.
Non ha età, sesso o cultura di appartenenza.
Quante volte ti sarà capitato di arrabbiarti con qualcuno, magari perché ti ha fatto un torto, o negato qualcosa di importante? O di arrabbiarti con te stesso, magari dopo aver realizzato di aver preso una decisione sbagliata? Parliamoci chiaro: la rabbia è una emozione primaria estremamente importante. Può aiutarci a raggiungere un obiettivo, a superare un ostacolo o a difenderci da un pericolo. In questo senso, la rabbia è una emozione adattiva, cioè fondamentale per la sopravvivenza degli individui e delle specie. Ma la rabbia può anche essere distruttiva e pericolosa.
La psicoterapia è la cura attraverso la parola. Dentro la stanza di terapia, la conversazione tra psicologo e paziente diviene lo strumento principale del processo di cambiamento (ho già parlato altrove dell'importanza del linguaggio per lo psicologo sistemico).
Ci sono tuttavia situazioni in cui le persone faticano a trovare le parole per raccontare le proprie cose, vuoi perché troppo dolorose, o troppo imbarazzanti, o troppo oscure e incomprensibili, o ancora, paradossalmente, troppo note. Come fare in queste situazioni? Lo psicologo sistemico possiede nella propria cassetta degli attrezzi numerosi strumenti che permettono alla persona di narrare e narrarsi in modo alternativo alla parola. "Noci di Cocco" è uno di questi strumenti. |
AutoreGiorgio Franzosi è psicologo psicoterapeuta e terapeuta EMDR. Da diversi anni aiuta a ritrovare il proprio benessere psicofisico nel più breve tempo possibile. Lavora a Crema (CR) e Online. Categorie
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