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Appunti di psicologia
Appunti di psicologia
"Come posso risolvere i miei problemi soltanto parlando?" Questa domanda, sicuramente legittima e che più volte mi è stata posta, è connessa a un pregiudizio abbastanza diffuso secondo cui dallo psicologo si andrebbe per fare "solo una chiacchierata", e che assimilerebbe quindi la conversazione con lo psicologo a quella con un amico o un parente.
Se da un lato è pur vero che dallo psicologo si parla (e non poco), dall'altro 1 - le conversazioni sono "speciali" (dove per "speciali" intendo dire che hanno un intento terapeutico), e 2 - nelle stanze degli psicologi si fa molto altro oltre a parlare. Ma andiamo con ordine. Che cosa significa che le conversazioni con lo psicologo sono "terapeutiche"? Nella letteratura psicologica “cambiamento” è tra i termini più citati e allo stesso tempo non esiste un’idea comune su cosa in effetti sia il cambiamento terapeutico.
Quando parliamo di cambiamento in psicoterapia, lo possiamo intendere come la scomparsa di un sintomo, come la soluzione di un problema, come un cambiamento a livello comportamentale o a livello emotivo, come un cambiamento di pattern interattivi, oppure ancora come un cambiamento di strutture profonde come la personalità, ecc. Su un punto, però, tutte le psicoterapie sono d'accordo: la via maestra per il cambiamento in psicoterapia è quella che riconosce ed esalta il ruolo delle emozioni. Il germe di questa idea, che ad oggi sta prendendo sempre più piede in tutti gli approcci terapeutici anche grazie ai contributi delle neuroscienze, lo si può in realtà già riscontrare in tempi più remoti.
L'emergenza sanitaria da coronavirus ci ha catapultati in uno scenario nuovo e sconvolgente, cogliendoci del tutto impreparati.
La sovraesposizione a informazioni non sempre coerenti, le restrizioni sempre più dure, la paura di poter essere contagiati, generano preoccupazione, impotenza, rabbia, senso di non controllo. Il nostro sistema nervoso autonomo è costantemente in allerta e cerca di difenderci dallo stress al meglio delle sue possibilità, seguendo un'organizzazione gerarchica che corrisponde agli stadi che abbiamo attraversato nel corso dell'evoluzione: immobilizzazione, mobilizzazione e ingaggio sociale. L'immobilizzazione corrisponde alla modalità difensiva più antica e si attiva in situazioni percepite come di pericolo causando l'immobilità del nostro corpo (congelamento, impotenza, disperazione, spegnimento emotivo). La mobilizzazione corrisponde a reazioni difensive definite di "attacco o fuga". Tipiche risposte di attacco sono per esempio l'aumento del bisogno di controllo, irritabilità, rabbia eccessiva. Risposte di fuga possono essere quelle che vi fanno "fuggire" da casa o che incrementano il vostro bisogno di muovermi. L'ingaggio sociale descrive la reazione più evoluta del nostro sistema nervoso e si attiva quando siamo in uno stato di sicurezza e di connessione con gli altri e con il contesto. Come conseguenza della quarantena e di altre restrizioni l'ingaggio sociale è messo a dura prova, motivo per cui, come probabilmente già sai, ci è stato consigliato di fare vodeochiamate con famigliari e amici anziché parlare solo al telefono. In questo articolo ti propongo alcuni semplici esercizi che ti aiutano a capire come stai funzionando in questo momento e che possono aiutarti a trovare strategie di gestione dello stress. In questo breve post trovi alcuni consigli che spero possano aiutarti ad affrontare al meglio questa fase di quarantena obbligatoria. 1. Mantieni una routine giornaliera. Dedica ogni attività a spazi e tempi differenti. Se lavori da casa, organizza la tua giornata tenendo separato il più possibile gli ambienti di lavoro da quelli casalinghi e mantieni degli orari di lavoro definiti.
2. Fai attività fisica. Sono moltissime le ricerche che mostrano come l'attività fisica abbia benefici sulla capacità di concentrarsi, sull'umore, sul sonno e più in generale sul benessere psicologico. 3. Gestisci lo stress e le emozioni spiacevoli, favorendo un atteggiamento positivo e costruttivo. Sforzati di cercare le opportunità e le cose positive, anche piccolissime, che questa angusta situazione ti sta offrendo. Riconosci le tue emozioni per quello che sono, dai loro un nome e poi prova a lasciarle andare con semplici tecniche di rilassamento. Coltiva la gratitudine. Scrivi ogni giorno su un diario per chi o per cosa sei grato. 4. Dedica tempo ai tuoi interessi e alle tue passioni. Finalmente hai a disposizione tutto quel tempo che da tanto rivendicavi per fare questo o quello. Organizza la giornata, dandole un significato e uno scopo, trasformandola nell'occasione per scoprire ciò a cui tieni di più. 5. Non ti "abbuffare" di informazioni sul coronavirus. Al contrario, informati solo una volta al giorno, favorendo le fonti ufficiali. 6. Non vivere solo di coronavirus. Porta la tua attenzione su ciò che ti fa stare bene: leggi un buon libro, guarda l'ultima serie di Netflix, ascolta la tua musica preferita. Concentrarsi su altro è il miglior rimedio contro il rimuginio. 7. Chiedi aiuto. Se da solo senti che non riesci a gestire la situazione, se ti senti sopraffatto dal disagio, non vergognarti di chiedere aiuto a uno psicologo. Sul sito del CNOP trovi l'elenco degli psicologi disponibili per teleconsulti e interventi online in tutta Italia. Qui trovi invece il mio servizio di supporto psicologico per l'emergenza coronavirus. Comunicato Studio di Psicologia Crema, 08/03/2020
A partire da domani 09/03/2020 fino al 03/04/2020 o fino a nuove direttive, verrà privilegiata, ove possibile, la consulenza online tramite piattaforme audio/video. Questo al fine di limitare gli spostamenti delle persone, e garantire al tempo stesso la continuità dei percorsi psicologici. Dott. Giorgio Franzosi Psicologo Psicoterapeuta Tel. 3496187791 franzosi.giorgio@gmail.com Che cos'è un trauma psicologico?
Il trauma psicologico può essere definito come un'esperienza estremamente grave che compromette il senso di stabilità e continuità fisica e psichica della persona che lo vive.
La parola “trauma” deriva dal greco e significa “ferita”. Chi vive un trauma sperimenta una spaccatura profonda tra un “prima” e un “dopo”. Un prima caratterizzato da routine, sicurezza e serenità e un dopo fatto di paure, angosce e mancato controllo. Esistono due tipologie di traumi psicologici a cui una persona può andare incontro nel corso della vita. Nella prima tipologia rientrano i "piccoli traumi", cioè quelle esperienze soggettivamente disturbanti che sono caratterizzate da una percezione di pericolo non particolarmente intensa. Rientrano in questa categoria eventi quali un'umiliazione subita o interazioni brusche avvenute nell'infanzia con persone significative (ed esempio i genitori). Nella seconda tipologia rientrano i "grandi Traumi", ovvero tutti quegli eventi che minacciano l'integrità fisica propria o delle persone care (ad esempio incidenti, disastri naturali, violenze, ecc.). A prescindere dalla tipologia del trauma, la ricerca scientifica ha riscontrato che le persone dal punto di vista emotivo reagiscono mostrando gli stessi sintomi. Va anche però precisato che non tutte le persone che vivono un'esperienza traumatica reagiscono allo stesso modo. Alcune sono in grado di riprendersi completamente in autonomia e di tornare a una vita normale anche in poco tempo, altre sviluppano reazioni di varia entità che nei casi più gravi impediscono alla persona di continuare a vivere la propria vita come prima dell'evento traumatico. L’essenza della metafora è comprendere e vivere un tipo di cosa nei termini di un’altra. Il nostro linguaggio e la nostra conoscenza del mondo non sono di natura letterale, ma metaforica (Giuliani, 2017). I lavori portati avanti per più di un decennio da George Lakoff e Marc Johnson (1980, 1998, 1999) sul linguaggio metaforico si basano sull’ipotesi che la conoscenza del mondo astratto (idee, eventi, emozioni) e l’immagine che ne costruiamo derivino dalla nostra esperienza del mondo fisico. Per tale motivo la cognizione della realtà è fondamentalmente metaforica: conosciamo il mondo astratto attraverso i concetti con cui abbiamo imparato a conoscere la realtà di cui abbiamo esperienza sensoriale (Giuliani, 2017). Quando per esempio diciamo che abbiamo avuto una giornata di lavoro “pesante”, o che l’ascolto di una canzone ci ha fatto sentire “leggeri”, o che il discorso di un politico ci è sembrato “vuoto”, stiamo attribuendo a cose astratte (lavoro, musica, discorsi) qualità che esperiamo dal mondo sensoriale. Con il termine mentalizzazione ci si riferisce all’attività di comprensione del comportamento in relazione a stati mentali come pensieri e sentimenti.
Mentalizziamo tutte le volte che siamo consapevoli degli stati mentali in noi stessi e negli altri, come per esempio quando pensiamo ai sentimenti. Alcune definizioni pratiche di mentalizzazione possono essere le seguenti: tenere a mente la mente; considerare gli stati mentali propri e degli altri; comprendere i fraintendimenti; vedere se stessi dall’esterno e gli altri dall’interno; attribuire una qualità mentale alle cose o sviluppare una prospettiva mentale. La mentalizzazione è un’attività mentale prevalentemente preconscia (automatica), immaginativa (intuitiva), emozionale (non cognitiva), e aiuta a regolare le emozioni. La mentalizzazione è un costrutto complesso, che include tutto ciò che va da fenomeni come i bisogni, i desideri, i sentimenti, i pensieri, le credenze, le fantasie, i sogni ai processi psicopatologici. Il concetto di ipotizzazione compare per la prima volta nell'articolo del 1980 Ipotizzazione – circolarità – neutralità: tre direttive per la conduzione della seduta e rimanda una specifica linea guida su cui si basa il colloquio clinico ad orientamento sistemico.
L'ipotizzazione si riferisce alla capacità del terapeuta di formulare un’ipotesi fondata sulle informazioni in suo possesso. Attraverso l’ipotesi il terapeuta stabilisce il punto di partenza della propria investigazione con metodiche atte a verificarne la validità e qualora risultasse errata, il terapeuta deve formularne rapidamente un’altra, basandosi sulle informazioni emerse durante il lavoro di verifica dell’ipotesi precedente. Una ipotesi non è mai né vera né falsa, ma solo più o meno utile al lavoro terapeutico. L’ipotesi, inoltre, deve essere sistemica, deve cioè includere tutti i componenti della famiglia e fornire il terapeuta di una supposizione del funzionamento relazionale globale. |
AutoreGiorgio Franzosi è psicologo psicoterapeuta e terapeuta EMDR. Da diversi anni aiuta a ritrovare il proprio benessere psicofisico nel più breve tempo possibile. Lavora a Crema (CR) e Online. Categorie
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Settembre 2020
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10/9/2020
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