Il termine "emozione" deriva dal latino moveo (muovere) con l'aggiunta del prefisso e-, per indicare che in ogni emozione è implicita una tendenza ad agire.
Secondo i biologi evoluzionisti, le emozioni hanno la funzione di guidare l'individuo nell'affrontare situazioni e compiti la cui complessità va oltre le possibilità del solo intelletto: momenti di pericolo, perdite dolorose, riuscire a portare a termine obiettivi nonostante la frustrazione, sono solo alcuni esempi in cui l'emozione gioca un ruolo determinante. In altre parole, le emozioni sono risorsa imprescindibile per la sopravvivenza dell'individuo e della specie. Le emozioni hanno origini antiche, sono il frutto dell'evoluzione di milioni di anni e hanno permesso l'emergere di reazioni automatiche che durante il periodo critico della preistoria umana hanno fatto davvero la differenza fra la vita e la morte. Nel corso dell'evoluzione il repertorio emozionale si è impresso nel nostro sistema nervoso come bagaglio comportamentale innato, e questo spiega perché vi siano situazioni in cui le emozioni hanno la meglio sulla ragione.
L'EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è un approccio terapeutico ideato da Francine Shapiro alla fine degli anni ’80 ed è ad oggi considerato il trattamento elettivo per i traumi.
L’EMDR nasce in seguito a una fortunata scoperta: si racconta che la psicologa, passeggiando in un parco assorta in ricordi dolorosi, notò che rapidi movimenti oculari producevano un enorme sollievo dallo stress. Era il 1987 e da allora la ricerca sull’EMDR non si è mai fermata. Per comprendere cosa renda l’EMDR così efficace nel trattamento dei traumi, è necessario conoscere le premesse su cui si fonda. Il sé - la struttura centrale che racchiude la gamma di componenti personali e che consente di auto definirsi - non è un monolite, un unico blocco, bensì è costituito da diverse parti. La psicologia lo afferma da tempo e le recenti scoperte delle neuroscienze lo stanno confermando.
Quando siamo emotivamente e psicologicamente in salute le diverse parti sono ben integrate tra loro e ci permettono di avere l'esperienza di un sé unitario e coerente. Può però capitare che a seguito di eventi traumatici (come ad esempio abusi o trascuratezza durante l'infanzia) il sé si frammenti in più parti separate tra loro, le quali "si specializzano" per assolvere a specifici compiti.
"Come posso risolvere i miei problemi soltanto parlando?" Questa domanda, sicuramente legittima e che più volte mi è stata posta, è connessa a un pregiudizio abbastanza diffuso secondo cui dallo psicologo si andrebbe per fare "solo una chiacchierata", e che assimilerebbe quindi la conversazione con lo psicologo a quella con un amico o un parente.
Se da un lato è pur vero che dallo psicologo si parla (e non poco), dall'altro 1 - le conversazioni sono "speciali" (dove per "speciali" intendo dire che hanno un intento terapeutico), e 2 - nelle stanze degli psicologi si fa molto altro oltre a parlare. Ma andiamo con ordine. Che cosa significa che le conversazioni con lo psicologo sono "terapeutiche"? Nella letteratura psicologica “cambiamento” è tra i termini più citati e allo stesso tempo non esiste un’idea comune su cosa in effetti sia il cambiamento terapeutico.
Quando parliamo di cambiamento in psicoterapia, lo possiamo intendere come la scomparsa di un sintomo, come la soluzione di un problema, come un cambiamento a livello comportamentale o a livello emotivo, come un cambiamento di pattern interattivi, oppure ancora come un cambiamento di strutture profonde come la personalità, ecc. Su un punto, però, tutte le psicoterapie sono d'accordo: la via maestra per il cambiamento in psicoterapia è quella che riconosce ed esalta il ruolo delle emozioni. Il germe di questa idea, che ad oggi sta prendendo sempre più piede in tutti gli approcci terapeutici anche grazie ai contributi delle neuroscienze, lo si può in realtà già riscontrare in tempi più remoti.
L'emergenza sanitaria da coronavirus ci ha catapultati in uno scenario nuovo e sconvolgente, cogliendoci del tutto impreparati.
La sovraesposizione a informazioni non sempre coerenti, le restrizioni sempre più dure, la paura di poter essere contagiati, generano preoccupazione, impotenza, rabbia, senso di non controllo. Il nostro sistema nervoso autonomo è costantemente in allerta e cerca di difenderci dallo stress al meglio delle sue possibilità, seguendo un'organizzazione gerarchica che corrisponde agli stadi che abbiamo attraversato nel corso dell'evoluzione: immobilizzazione, mobilizzazione e ingaggio sociale. L'immobilizzazione corrisponde alla modalità difensiva più antica e si attiva in situazioni percepite come di pericolo causando l'immobilità del nostro corpo (congelamento, impotenza, disperazione, spegnimento emotivo). La mobilizzazione corrisponde a reazioni difensive definite di "attacco o fuga". Tipiche risposte di attacco sono per esempio l'aumento del bisogno di controllo, irritabilità, rabbia eccessiva. Risposte di fuga possono essere quelle che vi fanno "fuggire" da casa o che incrementano il vostro bisogno di muovermi. L'ingaggio sociale descrive la reazione più evoluta del nostro sistema nervoso e si attiva quando siamo in uno stato di sicurezza e di connessione con gli altri e con il contesto. Come conseguenza della quarantena e di altre restrizioni l'ingaggio sociale è messo a dura prova, motivo per cui, come probabilmente già sai, ci è stato consigliato di fare vodeochiamate con famigliari e amici anziché parlare solo al telefono. In questo articolo ti propongo alcuni semplici esercizi che ti aiutano a capire come stai funzionando in questo momento e che possono aiutarti a trovare strategie di gestione dello stress. In questo breve post trovi alcuni consigli che spero possano aiutarti ad affrontare al meglio questa fase di quarantena obbligatoria. 1. Mantieni una routine giornaliera. Dedica ogni attività a spazi e tempi differenti. Se lavori da casa, organizza la tua giornata tenendo separato il più possibile gli ambienti di lavoro da quelli casalinghi e mantieni degli orari di lavoro definiti.
2. Fai attività fisica. Sono moltissime le ricerche che mostrano come l'attività fisica abbia benefici sulla capacità di concentrarsi, sull'umore, sul sonno e più in generale sul benessere psicologico. 3. Gestisci lo stress e le emozioni spiacevoli, favorendo un atteggiamento positivo e costruttivo. Sforzati di cercare le opportunità e le cose positive, anche piccolissime, che questa angusta situazione ti sta offrendo. Riconosci le tue emozioni per quello che sono, dai loro un nome e poi prova a lasciarle andare con semplici tecniche di rilassamento. Coltiva la gratitudine. Scrivi ogni giorno su un diario per chi o per cosa sei grato. 4. Dedica tempo ai tuoi interessi e alle tue passioni. Finalmente hai a disposizione tutto quel tempo che da tanto rivendicavi per fare questo o quello. Organizza la giornata, dandole un significato e uno scopo, trasformandola nell'occasione per scoprire ciò a cui tieni di più. 5. Non ti "abbuffare" di informazioni sul coronavirus. Al contrario, informati solo una volta al giorno, favorendo le fonti ufficiali. 6. Non vivere solo di coronavirus. Porta la tua attenzione su ciò che ti fa stare bene: leggi un buon libro, guarda l'ultima serie di Netflix, ascolta la tua musica preferita. Concentrarsi su altro è il miglior rimedio contro il rimuginio. 7. Chiedi aiuto. Se da solo senti che non riesci a gestire la situazione, se ti senti sopraffatto dal disagio, non vergognarti di chiedere aiuto a uno psicologo. Sul sito del CNOP trovi l'elenco degli psicologi disponibili per teleconsulti e interventi online in tutta Italia. Qui trovi invece il mio servizio di supporto psicologico per l'emergenza coronavirus. Comunicato Studio di Psicologia Crema, 08/03/2020
A partire da domani 09/03/2020 fino al 03/04/2020 o fino a nuove direttive, verrà privilegiata, ove possibile, la consulenza online tramite piattaforme audio/video. Questo al fine di limitare gli spostamenti delle persone, e garantire al tempo stesso la continuità dei percorsi psicologici. Dott. Giorgio Franzosi Psicologo Psicoterapeuta Tel. 3496187791 [email protected] Che cos'è un trauma psicologico?
Il trauma psicologico può essere definito come un'esperienza estremamente grave che compromette il senso di stabilità e continuità fisica e psichica della persona che lo vive.
La parola “trauma” deriva dal greco e significa “ferita”. Chi vive un trauma sperimenta una spaccatura profonda tra un “prima” e un “dopo”. Un prima caratterizzato da routine, sicurezza e serenità e un dopo fatto di paure, angosce e mancato controllo. Esistono due tipologie di traumi psicologici a cui una persona può andare incontro nel corso della vita. Nella prima tipologia rientrano i "piccoli traumi", cioè quelle esperienze soggettivamente disturbanti che sono caratterizzate da una percezione di pericolo non particolarmente intensa. Rientrano in questa categoria eventi quali un'umiliazione subita o interazioni brusche avvenute nell'infanzia con persone significative (ed esempio i genitori). Nella seconda tipologia rientrano i "grandi Traumi", ovvero tutti quegli eventi che minacciano l'integrità fisica propria o delle persone care (ad esempio incidenti, disastri naturali, violenze, ecc.). A prescindere dalla tipologia del trauma, la ricerca scientifica ha riscontrato che le persone dal punto di vista emotivo reagiscono mostrando gli stessi sintomi. Va anche però precisato che non tutte le persone che vivono un'esperienza traumatica reagiscono allo stesso modo. Alcune sono in grado di riprendersi completamente in autonomia e di tornare a una vita normale anche in poco tempo, altre sviluppano reazioni di varia entità che nei casi più gravi impediscono alla persona di continuare a vivere la propria vita come prima dell'evento traumatico. |
AutoreGiorgio Franzosi è psicologo psicoterapeuta e terapeuta EMDR. Da diversi anni aiuta a ritrovare il proprio benessere psicofisico nel più breve tempo possibile. Lavora a Crema (CR) e Online. Categorie
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Settembre 2021
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30/9/2021
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