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4/4/2017

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L'uso del linguaggio nella psicoterapia sistemica

 
uso del linguaggio nella psicoterapia sistemica
... Sono entrati nel nostro campo concetti quali la costruzione e co-costruzione della realtà, la soggettività della conoscenza, l’autoriflessività. Questa evoluzione ci ha portato a vedere il linguaggio non più soltanto come un mezzo, ma come un fine della terapia, nel senso che centrando l’attenzione sulle parole e sul modo in cui i clienti parlano, si può avere un’impressione su come costruiscono la realtà, ... la loro realtà.

Luigi Boscolo
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​Il linguaggio utilizzato nella psicoterapia sistemica è a tutti gli effetti un potente strumento per favorire il cambiamento.

​Lo psicologo sistemico pone - durante tutto il processo terapeutico - la massima attenzione al linguaggio del cliente (ma anche al proprio), coglie e utilizza parole, espressioni verbali, metafore, ridondanze linguistiche, con l'intento di co-costruire assieme al cliente nuovi significati e nuove realtà.

Il linguaggio utilizzato dallo psicologo sistemico è depatologizzante e polisemico: comunica più o meno esplicitamente (anche attraverso posture, espressioni facciali, tono della voce, gesti) che non esiste un’unica verità, ma che esistono diversi modi di vedere le cose, di punteggiare gli eventi. Questa posizione ermeneutica che assume  lo psicologo sistemico già di per sé è terapeutica, perché aiuta il cliente a trovare visioni alternative al proprio problema, alla propria storia, alla propria narrazione dominante.

La ricerca di altre-visioni è favorita dallo psicologo sistemico principalmente (ma non esclusivamente) attraverso le domande. Le domande poste dallo psicologo sistemico si basano sul processo di ipotizzazione, cioè sulla costruzione di mondi possibili attraverso la formulazione di ipotesi che abbiano senso per il cliente. Le ipotesi vengono verificate costantemente attraverso il monitoraggio delle risposte verbali ed emotive prodotte dal cliente.

Lo psicologo sistemico fa ipotesi ma non le restituisce direttamente al cliente: restituisce invece domande fondate su quelle ipotesi che possono a loro volta condurre il cliente a formulare le proprie. In questo modo, attraverso le domande, il cliente viene aiutato a guardarsi dentro e a riflettere sulle proprie relazioni.
​

Lo psicologo sistemico, come un regista, offre continuamente storie possibili al cliente e partecipa a creare un contesto relazionale in cui è il cliente a decidere di farle sue in parte, completamente oppure di rifiutarle.

Lo psicologo racconta storie basandosi sui dati del cliente, con la consapevolezza che sono filtrate dalle proprie esperienze e dai propri pregiudizi; le arricchisce di metafore e lascia che sia il cliente ad attribuirvi un senso.

Attraverso la terapia sistemica, dunque, lo psicologo s'immerge col cliente in una complessa rete di idee, emozioni, personaggi significativi, connessa ricorsivamente ed esplorata da due interlocutori per mezzo dello strumento linguistico.
​

L'utilizzo delle parole-chiave per promuovere il cambiamento


Un uso del linguaggio particolarmente utile nelle terapie sistemiche è quello legato alle “parole-chiave”. Si tratta di alcune parole dotate di un alto grado di polisemia, cioè che offrono la possibilità di evocare in modo particolarmente efficace due o più significati attinenti alla parola stessa.

Fin dalle prime battute di ogni seduta, lo psicologo è attento al lessico del cliente, ovvero al tipo di linguaggio utilizzato (repertorio lessicale, gesti, atteggiamenti e comunicazione non verbale). Questa attenzione consente allo psicologo di calibrare le proprie parole ed emozioni così da integrarle nel contesto creato col cliente.

La polisemia che caratterizza le parole-chiave permette di far emergere e collegare mondi diversi e contrapposti. Sono, in altri termini, parole-ponte.

​La parola-chiave, polisemica e ambigua, oltre a rievocare e riattivare i vissuti del cliente, ha anche un potere di ridefinizione. Parole come “intensità”, “calore”, “fame”, “amore”, “duro”, e così via, assumono connotazioni diverse a seconda del contesto relazionale a cui si riferiscono, permettono di creare differenze, informazioni e riflessività. <<Nella sua famiglia qual è la persona più calda?>>; << Sua madre diventa più calda quando parla con suo fratello o con sua sorella?>>; <<Chi è più molle nella sua famiglia, chi è più duro?>>; <<Si trova più a suo agio con un padre molle o con un padre duro?>>...

Le parole-chiave usate in terapia sistemica hanno un valore metaforico, cioè un ampio potere di connotazione. Tanto più i termini usati sono polivalenti, ricchi di possibili connotazioni, tanto maggiore potrà essere la loro efficacia.

​Attraverso il discorso lo psicologo sistemico veicola queste connotazioni e stimola il cliente a scegliere quali significati attribuirvi.
​
Parafrasando Wittgenstein si potrebbe affermare che le parole-chiave e le metafore sono potenti strumenti per passare da un gioco linguistico a un altro.
Chiameremo “giochi di linguaggio" o “giochi linguistici” i sistemi di comunicazione (…). Essi sono più o meno affini a ciò che, nel linguaggio comune, noi chiamiamo: giochi. Ai bambini s’insegna la loro madrelingua mediante tali giochi, che hanno il carattere divertente proprio dei giochi. Noi, tuttavia, consideriamo i giochi di linguaggio da noi descritti non come parti incomplete d’un linguaggio ma come linguaggi in sé completi, come sistemi completi di comunicazione umana. (Wittgenstein)
Spesso i clienti che vengono in terapia riescono a giocare un numero assai limitato di giochi linguistici. L’uso di parole polisemiche e di metafore permette allora di creare ponti tra giochi diversi e di sperimentare cognitivamente ed emotivamente nuovi giochi di linguaggio. Offre in altri termini la possibilità di cambiare le premesse e la visione della realtà.
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    Giorgio Franzosi è psicologo psicoterapeuta e terapeuta EMDR. Da diversi anni aiuta a ritrovare il proprio benessere psicofisico nel più breve tempo possibile. Lavora a Crema (CR) e Online.

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