L'utilizzo del paradosso in terapia è una strategia tipica delle terapie sistemiche, introdotta, sperimentata e perfezionata tra gli anni '50 e '70, ed oggi ancora molto sfruttata dai terapeuti sistemici. Uno dei primi interventi paradossali con finalità terapeutiche è rintracciabile in Verso un’ecologia della mente (Bateson, 1977). Bateson racconta di una psichiatra, la dottoressa Frieda Fromm-Reichmann, la quale aveva in cura una ragazza schizofrenica che si era rifugiata in un mondo immaginario abitato da potenti dei. La paziente si era mostrata fin da subito riluttante ad accettare la terapia, dicendo alla terapeuta che il dio R le impediva di parlare con lei. Frieda Fromm-Reichmann replicò allora in questo modo: “Senti, mettiamo nero su bianco. Per me il dio R non esiste, anzi, tutto il tuo mondo non esiste. Per te invece esiste, e lungi da me l’idea di potertene allontanare; non me lo sogno nemmeno. Perciò io ti parlerò in termini di quel mondo solo se tu capirai che lo faccio allo scopo di mettere bene le cose in chiaro che per me non esiste. Ora va’ dal dio R e digli che noi due dobbiamo parlarci, e che ti dia il permesso. Digli anche che io sono un medico e che tu sei vissuta con lui nel suo regno dai sette ai sedici anni, cioè per nove anni, e che lui non ti ha dato nessun aiuto. Quindi ora deve lasciare che provi io, per vedere se tu e io insieme riusciamo a farcela. Digli che io sono un medico e che questo è ciò che voglio tentare” (Bateson, 1977, pp. 269-270). Come è evidente, la psichiatra ha posto la paziente in una situazione paradossale (o, come scrive Bateson, in un doppio legame terapeutico): se la paziente mette in dubbio l’esistenza del dio, allora ammette di trovarsi d’accordo con la psicoterapeuta e di impegnarsi nella terapia. Se al contrario insiste nell’affermare la realtà del dio R, allora è obbligata a riferirgli che la dottoressa è più potente di lui, costringendosi ancora una volta a dover ammettere il suo impegno con la terapeuta (Bateson, 1977). La letteratura sistemico-strategica è ricca di esempi di utilizzo di doppi legami a scopi terapeutici, molti dei quali fanno riferimento a casi clinici di Milton Erickson, precursore della terapia strategica. Riporto due casi a titolo di esempio. Durante una terapia di gruppo, Erickson aiuta una cliente a liberarsi dall’idea che dire di “no” comporta il ferire o addirittura uccidere le persone attraverso un intervento paradossale. Questa convinzione era nata a seguito di una esperienza traumatica avvenuta nell’infanzia: una volta, da bambina, aveva rifiutato la richiesta del padre di stare a casa con lui e, una volta rincasata, aveva trovato il padre morto. Erickson, dopo alcuni primi interventi rivelatisi inefficaci, decide di mettere la paziente in un doppio legame terapeutico. Le chiede quindi di dire “no” su qualcosa a ciascun membro del gruppo; la paziente come previsto si rifiuta, ma, non dicendo “no” ai membri del gruppo, dice “no” al terapeuta, potendo constatare di persona che ciò non ha comportato alcuna conseguenza da lei temuta (Bandler, Grinder, 1981). In un’altra occasione Erickson utilizza una prescrizione paradossale per aiutare una ragazza di 15 anni a liberarsi dal vizio di succhiarsi il pollice: “La ragazza entrò contro voglia nello studio accompagnata dai suoi genitori e succhiandosi il pollice rumorosamente. Congedai i genitori e mi misi a osservarla; dopo qualche istante allentò il pollice dalle labbra quel tanto che bastava per poter dire che non le piacevano i medici dei matti. Risposi: “A me invece non piace il modo in cui i tuoi genitori mi hanno ordinato di guarirti. (…) L’unica cosa che mi interessa è per quale motivo, se vuoi essere aggressiva e succhiarti il pollice, non lo fai come si deve, invece di continuare a mangiucchiartelo come una bambina che non ha nessuna aggressività. (…) Tutte le sere dopo cena, puntuale come un orologio tuo padre va in salotto e legge il giornale dalla prima all’ultima pagina. Ogni sera, mentre lui legge, mettiti a sedere accanto a lui, succhiati il pollice rumorosamente e rompigli le scatole per i venti minuti più lunghi della sua vita. Poi quando vai nella stanza dove tua madre ogni sera se ne sta a cucire prima di lavare i piatti. Siediti accanto a lei, succhiati il pollice rumorosamente e rompile le scatole per i venti minuti più lunghi della sua vita. (…) Poi, quando al mattino vai a scuola, scegli il compagno che ti piace di meno e tutte le volte che lo incontri, mettiti il pollice in bocca e tienilo così finché lui si volta dall’altra parte. (…) Pensa a tutti i tuoi insegnanti e scegli quello che ti è più antipatico e succhiati il pollice tutte le volte che ti guarda. Spero proprio che tu riesca ad essere veramente aggressiva”. (…) Nei giorni che seguirono la ragazza fece ogni sera quello che le avevo detto, poi iniziò a seccarsi e ad accorciare il periodo in cui si succhiava il dito, poi iniziava tardi e finiva presto, quindi prese a farlo saltuariamente e alla fine se ne dimenticò completamente. In meno di quattro settimane la ragazza aveva smesso di succhiarsi il pollice in casa e negli altri posti, mostrò un crescente interesse per le attività sociali confacenti la sua età e il suo comportamento migliorò sotto tutti gli aspetti” (Haley, 1976, pp. 177-178). Il paradosso utilizzato per promuovere il cambiamento si differenzia da quello patogeno per il fatto che il terapeuta non è personalmente impegnato in una lotta di vitale importanza, e può per tanto costruire paradossi benigni che aiutano il paziente a liberarsene gradualmente. Secondo gli autori di Pragmatica della comunicazione umana (Watzlawick, Beavin, Jackson, 1971) i paradossi generano giochi senza fine che, per essere interrotti, richiedono un intervento esterno che ne modifichi le regole. Si consideri il seguente esempio: due amici decidono di fare un gioco che consiste nel sostituire la negazione con l’affermazione, e viceversa, in ogni comunicazione che li riguarda. Interrompere questo gioco è molto complicato, poiché in questo contesto, messaggi del tipo “Smettiamo di giocare” acquistano il significato di “Continuiamo a giocare”. Il problema non può essere risolto neppure utilizzando il messaggio “Continuiamo a giocare”, poiché, da un punto di vista puramente logico, “(..) nessuna asserzione fatta entro uno schema dato [...] può essere al tempo stesso un’asserzione valida sullo schema” (Watzlawick, Beavin, & Jackson, 1971, p. 222). In altre parole, il giocatore che riceve il messaggio “Continuiamo a giocare” si viene a trovare in una condizione di indecidibilità, poiché non vi sono regole attraverso le quali possa capire a quale livello il messaggio sia collocato (cioè non può capire se l’altra persona sta ancora giocando, oppure se vuole metacomunicare l’interruzione del gioco). Secondo gli autori, il modo più efficace attraverso cui le persone possono interrompere una situazione paradossale come quella appena descritta consiste nel coinvolgere una persona esterna e nel farle decidere la chiusura del gioco; nessun cambiamento può essere provocato dall’interno. Rispetto al contesto terapeutico, il terapeuta, in quanto persona esterna, può essere in grado di produrre un cambiamento delle regole che hanno originato la situazione paradossale attraverso la tecnica della prescrizione del sintomo, cioè un intervento paradossale, che invece di tentare di eliminare il sintomo lo acutizza. Da un punto di vista della comunicazione, le prescrizioni paradossali sono per gli autori gli unici interventi capaci di interrompere i doppi legami o i giochi senza fine. Sul piano strutturale esse sono speculari ai doppi legami patogeni in quanto:
Watzlawick, Weakland e Fisch (1974) hanno in seguito elaborato e descritto una precisa tecnica centrata sulla prescrizione del sintomo: la “ristrutturazione”. La ristrutturazione ha l’obiettivo di promuovere il cambiamento di secondo ordine (cioè il cambiamento delle premesse e dei significati), togliendo la situazione dalla trappola creata dalla soluzione adottata fino a quel momento - che secondo gli autori, è la causa che ha generato problema - e collocandola in una differente cornice. Attraverso la ristrutturazione, il terapeuta fornisce una nuova struttura alla visione del mondo concettuale ed emozionale del soggetto e gli permette di considerare i fatti che esperisce da una prospettiva che consente di affrontare meglio la situazione problematica invece di eluderla. La ristrutturazione non modifica i fatti concreti ma i significati che la persona attribuisce alla situazione. Non produce insight, ma insegna un “nuovo gioco”. In termini astratti, questa tecnica sposta l’accento dall’idea che un oggetto (un evento, una situazione, un comportamento, una relazione tra persone, ecc.) appartiene a una certa classe all’idea che esso appartiene a un'altra ugualmente valida. Per comprendere meglio questo concetto è necessario esplicitare alcune considerazioni. L’esperienza che le persone hanno del mondo è organizzata in classi di oggetti, in base al significato e al valore che vengono loro attribuiti. Queste classi sono costrutti mentali e perciò appartengono a un ordine diverso da quello degli oggetti. Quando un oggetto è stato concettualizzato come appartenente a una data classe, è piuttosto difficile che possa essere considerato appartenente a un’altra. Tuttavia, una volta percepita l’appartenenza dell’oggetto a una classe alternativa grazie alla ristrutturazione, difficilmente si ricadrà nella trappola che implica una visione della realtà simile a quella che si aveva prima. Affinché la ristrutturazione abbia effetto, il terapeuta deve tener conto delle premesse, dei punti di vista e delle aspettative del soggetto. In altre parole, la nuova struttura deve essere congeniale al modo di pensare e di classificare la realtà della persona. In Paradosso e contropardosso, scritto a quattro mani da Selvini Palazzoli, Boscolo, Cecchin e Prata (1975), sono racchiusi importanti contributi allo sviluppo delle tecniche terapeutiche basate sulle prescrizioni paradossali. Gli autori hanno introdotto l’utilizzo delle prescrizioni paradossali per superare le difficoltà che avevano incontrato lavorando con famiglie caratterizzate dalla presenza di forti processi omeostatici, cioè “resistenti” al cambiamento, definite dagli autori “famiglie a transazione schizofrenica”. L’originalità dell’intervento paradossale ideato dal gruppo di Milano risiede nel fatto che il sintomo viene prescritto solo dopo averlo connotato positivamente. Attraverso la connotazione positiva del sintomo il terapeuta si allea alla tendenza omeostatica del sistema, riducendo il rischio di essere percepito come minaccioso dal paziente (e, nel caso della terapia familiare, dagli altri membri della famiglia). La connotazione positiva è un intervento paradossale perché, incoraggiando la tendenza omeostatica, il terapeuta cerca in realtà di stimolare le capacità di cambiamento del sistema familiare. Il paradosso utilizzato in psicoterapia, dunque, è una manovra strategica che sembra in contrasto con gli scopi della terapia ma che in realtà è progettata per raggiungerli. Bibliografia
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AutoreGiorgio Franzosi è psicologo psicoterapeuta e terapeuta EMDR. Da diversi anni aiuta a ritrovare il proprio benessere psicofisico nel più breve tempo possibile. Lavora a Crema (CR) e Online. Categorie
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