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25/6/2016

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La teoria del doppio legame (1/3) - L'avvento della clinica sistemica

 
doppio legame
Parte 1 di 3
​
La teoria del doppio legame (double bind) è il frutto della collaborazione di più persone geniali e dal bagaglio professionale molto variegato che nella prima metà degli anni cinquanta si riunirono nel così detto “gruppo di Palo Alto”, fondato da Gregory Bateson per studiare sul campo il ruolo dei paradossi nella comunicazione. 
​È l’incontro con la teoria dei tipi logici di Russell e Whitehead a spostare l’interesse di Bateson verso le dinamiche e la comunicazione nelle famiglie.

Nel 1952 Bateson riesce a ottenere cospicui finanziamenti dalla Rockefeller Foundation che gli consentono di reclutare i suoi primi due collaboratori: Jay Haley, esperto di comunicazione, e John Weakland, ingegnere chimico e antropologo, con uno spiccato interesse per la cultura cinese.

Un anno più tardi entra a far parte dell’equipe William Fry in veste di consulente, il cui interesse è a quel tempo prevalentemente rivolto allo studio dell’umorismo dal punto di vista dei tipi logici.

Nel 1954 i fondi si esauriscono, e la necessità di procurarsi nuovi finanziamenti obbliga gli scienziati a restringere il campo d’indagine, che viene circoscritto allo studio della schizofrenia, ipotizzata come patologia che scaturisce da paradossi insiti nei processi comunicativi.

Il nuovo progetto di ricerca ottiene i finanziamenti dalla Macy Foundation, parte dei quali vengono utilizzati per coinvolgere lo psichiatra Don Jackson nel ruolo di consulente sul problema della terapia con pazienti schizofrenici.
 
L’ipotesi del doppio legame compare due anni più tardi, nel 1956, in seguito alla pubblicazione dell’articolo scritto da Bateson, Jackson, Haley e Weakland intitolato Verso una teoria della schizofrenia.

L’intenzione degli autori è proporre un modello esplicativo della schizofrenia per mezzo del concetto di doppio legame, lontano da una visione organicistica della patologia e dall’allora (e tuttora) dominante paradigma psichiatrico.
 
Il doppio legame può essere descritto come un pattern di comunicazione distorta e paradossale che può portare un membro della famiglia a sviluppare la schizofrenia. La schizofrenia è dunque concepita come una patologia della comunicazione in un sistema familiare. 

Un doppio legame prevede la presenza di alcuni ingredienti necessari che possono essere così sintetizzati:
  1. Due o più persone coinvolte in una relazione emotiva intensa (ad esempio madre- figlio). 
  2. Un messaggio, trasmesso dal genitore, caratterizzato da: a) un’ingiunzione negativa primaria, che può avere la forma “Non fare così o io ti punirò” oppure “Se non fai così io ti punirò”; b) un’ingiunzione secondaria in conflitto con la prima a un livello più astratto, cioè comunicata al bambino con mezzi non verbali; c) un’ingiunzione terziaria negativa che proibisce alla vittima di abbandonare il campo o di liberarsi cognitivamente dallo schema stabilito dal messaggio. 
  3. Ripetizione dell’esperienza. Questa caratteristica differenzia un individuo “normale” intrappolato in una situazione di doppio legame da un individuo schizofrenico: infatti, se per il primo il doppio legame rappresenta un episodio occasionale, per il secondo è la modalità abituale entro cui le interazioni più significative hanno luogo. Il doppio legame, affinché diventi patogeno, non deve essere un trauma isolato, bensì un tema ricorrente nell’esperienza della persona. 

Il costrutto del doppio legame è stato elaborato sulla base della teoria dei tipi logici formulata da Whitehead e Russell in Principia Mathematica. L’oggetto di questa teoria afferma che v’è discontinuità tra una classe e gli elementi in essa contenuti, in quanto una classe non può essere un elemento di se stessa e uno degli elementi non può essere la classe: classe ed elementi appartengono a livelli di astrazione differenti. Quando queste regole vengono violate, si incorre in paradossi. 

Studiando il gioco animale, Bateson aveva intuito che ogni messaggio contiene al proprio interno un aspetto di contenuto (l’informazione) e un aspetto di relazione (ciò che indica come deve essere interpretata l’informazione), e che questi due livelli presentano la stessa discontinuità che si riscontra nei tipi logici.

Se la gerarchia fra i due livelli di astrazione viene infranta, si originano paradossi, che impediscono all’individuo di decidere quale livello è il contesto entro cui interpretare l’altro.

Ripetere questa esperienza d’indecidibilità, in un ambiente emotivamente rilevante come quello familiare, favorirebbe nel soggetto l’insorgere della schizofrenia.

Va precisato che qualche anno più tardi, gli autori chiariranno che in realtà la teoria del doppio legame non è una teoria eziologica della schizofrenia, ma un modello che consente di spiegare il più generale disturbo psichico in un’ottica relazionale, e il cui focus è centrato sui processi comunicativi; la sindrome schizofrenica è stata utilizzata come esempio particolare per mostrare un’ipotesi più generale. Si tratta, in definitiva, del primo tentativo di spiegare la psicopatologia attraverso lenti sistemiche.

Nonostante la teoria del doppio legame sia stata molto importante per lo sviluppo della psicologia sistemica, presenta diversi limiti.

Innanzi tutto essa fornisce una visione unidirezionale del double bind, centrata sul concetto elaborato da Frieda Fromm-Reichmann di “madre schizofrenogena” che, attraverso il suo comportamento, inganna il figlio-vittima.

Questa immagine unilaterale costituita da un “persecutore” che esercita il proprio potere sulla “vittima” è stata messa in discussione da diversi autori. Weakland, in un articolo del 1960, ha ad esempio affermato che colui che è definito “vittima” impara presto a servirsi dei modelli comunicativi simili a quelli del genitore e a inviare a sua volta messaggi distorti e paradossali, contribuendo in tal modo a mantenere invariati i modelli generali di comunicazione e di interazione, tipici delle famiglie degli schizofrenici.

Due anni più tardi, nell’articolo Una nota sul doppio legame, gli stessi autori della teoria originaria chiariranno che non ha senso parlare di persecutore e di vittima nelle situazioni di double bind, ma piuttosto di “[...] persone prese in un sistema che si autoperpetua e che produce definizioni contraddittorie della relazione e quindi un disagio soggettivo”.

Un secondo limite riguarda la natura diadica del doppio legame. La teoria, infatti, considera solo due posizioni relazionali: il soggetto che esercita il doppio legame e il soggetto che lo deve affrontare.

Ancora, la teoria non fornisce i criteri che spieghino perché un solo membro della famiglia sviluppa una specifica psicopatologia. Ciò è dovuto al fatto che il doppio legame prevede unicamente l’interazione tra due soggetti, escludendo così gli altri membri del sistema relazionale.

Un ulteriore limite può essere identificato nell’assenza della dimensione storica: il doppio legame è infatti descritto come un meccanismo patogeno che opera nel qui e ora, piuttosto che un processo che evolve nel tempo.

​Sebbene gli autori della teoria abbiano individuato la ripetizione dell’esperienza quale ingrediente necessario per una situazione di double bind, tutte le loro esemplificazioni fanno riferimento a un preciso messaggio di un episodio particolare, trascurando in tal modo la sequenza storica in cui l’episodio è collocato. 
​

​Leggi la seconda parte

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    Giorgio Franzosi è psicologo psicoterapeuta e terapeuta EMDR. Da diversi anni aiuta a ritrovare il proprio benessere psicofisico nel più breve tempo possibile. Lavora a Crema (CR) e Online.

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