L’Open dialogue (dialogo aperto) è un approccio di matrice sistemica - elaborato da Jaakko Seikkula a partire dagli inizi degli anni ’80 - che garantisce un alto tasso di "guarigione" dalle psicosi. L’Open dialogue non è un modello, ma un insieme di pratiche; prende spunto da alcune idee della terapia familiare sistemica introdotte negli anni ’80 dal gruppo di Milano, come l’intervista circolare e la connotazione positiva del sintomo, dagli approcci narrativi e da quelli psicoeducazionali. L’OD si basa su sette principi fondamentali: l’aiuto immediato, il coinvolgimento della rete sociale del paziente, la flessibilità e la mobilità, la responsabilità, la continuità psicologica, la tolleranza dell’incertezza e la prospettiva dialogica. 1) Aiuto immediato e rete sociale Il primo principio dell’OD sancisce che, in caso di crisi, il paziente deve ricevere assistenza entro ventiquattro ore dalla prima richiesta di intervento, sia che questa sia stata fatta dal paziente, da un parente, da un medico, o da una qualsiasi altra figura professionale. Uno scopo dell’aiuto immediato è quello di prevenire ospedalizzazione del paziente in più casi possibili. Le prime domande del contatto telefonico devono consentire di acquisire informazioni circa quali persone della rete sociale del paziente coinvolgere. A partire dal 1984 Seikkula, in sostituzione alla terapia familiare, ha istituito nell’ospedale in cui lavorava una squadra avente il compito di organizzare incontri aperti (open meeting), intesi come incontri per analizzare il problema e preparare il piano di trattamento per i pazienti ricoverati in reparto. L’OD prevede che già dal primo incontro siano presenti il paziente, tutti i professionisti coinvolti nel trattamento, la famiglia e altre persone significative della rete sociale. Ciò permette di vedere i diversi problemi come problemi della situazione sociale attuale del paziente, di aumentare le risorse di coping e di aprire la strada a nuove prospettive costruttive. Le persone non presenti agli incontri aperti ritenute essenziali dall’équipe devono essere presentificate, rivolgendo domande a chi invece è presente (per esempio: “Perché il marito non è qui? Perché dovrebbe esserlo?” E così via). Non v’è alcuna regola, inoltre, che indichi chi devono essere gli altri significativi: possono essere compagni di scuola, insegnanti, colleghi di lavoro, vicini di casa… Fin dal primo meeting viene dunque data forma alla comunità di persone che saranno coinvolte dall’inizio alla fine del trattamento: i membri del team, il paziente, i famigliari e gli altri significativi. 2) Flessibilità e mobilità Il principio della flessibilità si riferisce al fatto che il trattamento deve essere specifico per ogni caso, cioè deve adattarsi ai bisogni del paziente e della famiglia. Durante il processo terapeutico, inoltre, il paziente può essere sottoposto a diversi trattamenti in base alle necessità del momento: per esempio, in un certo periodo il paziente può trarre maggiori benefici da un trattamento farmacologico, in un altro da una terapia di gruppo, e in un altro ancora da una terapia individuale. La scelta di fornire aiuto entro le ventiquattro ore dal verificarsi della crisi ha portato a una rapida diminuzione della necessità di ricoverare i pazienti in ospedale, ma allo stesso tempo ha reso necessario l’istituzione, in ogni ambulatorio psichiatrico della regione, di una squadra mobile che intervenga in caso di crisi. Tutti i membri che fanno parte di unità psichiatriche possono essere chiamate a partecipare a squadre mobili in base alle specifiche esigenze di ogni paziente. Se la famiglia acconsente, gli incontri vengono tenuti presso l’abitazione del paziente. 3) Responsabilità e continuità psicologica In base al principio della responsabilità, la squadra che risponde alla prima richiesta di intervento diventa la diretta responsabile del caso. Essa avrà il compito di organizzare gli incontri con il paziente, la famiglia e gli altri significativi, di condurre il dialogo, e di prendere decisioni circa le modalità di intervento, sempre in presenza del paziente e della sua rete sociale. Non è previsto alcun incontro tra i soli professionisti per la pianificazione del trattamento. La continuità psicologica è garantita dal fatto che la stessa équipe rimane in contatto con la famiglia e il paziente fino a che la situazione urgente e i sintomi non si sono dissolti. 4) Tolleranza dell’incertezza La tolleranza dell’incertezza è strettamente connessa alla frequenza degli incontri e alla qualità del dialogo. Gli open meeting devono essere effettuati con costanza, anche ogni giorno se necessario, in modo che la famiglia non si senta sola a abbandonata nella crisi. La tolleranza dell’incertezza può essere rafforzata attraverso la creazione di relazioni terapeutiche che diano un senso di sicurezza e di fiducia a tutti i membri che partecipano agli incontri. 5) Prospettiva dialogica Per prospettiva dialogica s’intende che il motore del cambiamento è il linguaggio. Ciò significa che l’obiettivo principale dell’OD è promuovere il dialogo, e che la promozione del cambiamento nel paziente e nella famiglia è a esso conseguente. Il dialogo è visto come un luogo di incontro in cui le famiglie e i pazienti sono in grado di acquisire maggiore agency attraverso la discussione dei problemi. La prospettiva dialogica, nell’ODA, trova la sua massima espressione negli open meeting, a cui partecipano l’équipe che ha preso in carico il caso, il paziente, la famiglia e gli altri significativi. Questi incontri hanno tre funzioni principali: raccogliere le informazioni sul problema, costruire un piano di trattamento e prendere decisioni in base a quanto emerso dall’incontro, e generare un dialogo psicoterapeutico. Il linguaggio utilizzato dall’équipe deve essere il più possibile adattato a quello della famiglia, osservando come ogni membro ha percepito e dato il nome al problema del paziente; i problemi sono infatti visti come costruzioni sociali, riformulati in ogni conversazione. In questa prospettiva, è molto importante dare voce a ogni persona presente all’incontro, cioè generare un dialogo polifonico. Dal punto di vista pratico, tutti i partecipanti all’open meeting siedono in cerchio nella stessa stanza. La responsabilità di dar vita al dialogo e di condurlo è dell’équipe. Le prime domande sono generalmente molto aperte, in modo da permettere alla famiglia e agli altri presenti di esprimere i problemi per loro al momento più rilevanti. Le risposte dell’équipe devono adattarsi al dialogo dei clienti, e spesso hanno la forma di ulteriori domande per meglio indagare quanto detto dal paziente o dalla famiglia. Tutti i presenti hanno il diritto di fare commenti nel momento in cui lo ritengono più opportuno. Tali commenti non devono però interrompere il dialogo in corso, e devono essere centrati sul tema oggetto della discussione. I commenti dei professionisti, oltre a indagare approfonditamente la tematica discussa, devono mirare a introdurre nuove parole per descrivere le esperienze più difficili del cliente. Ciò può essere attuato attraverso la conversazione riflessiva, cioè attraverso uno scambio flessibile (non preconfezionato) di commenti e domande costruttive tra i membri dell’équipe, ma sempre in presenza del paziente e della famiglia. È durante le conversazioni riflessive, inoltre, che vengono sviluppati i piani di intervento: le decisioni circa l'ospedalizzazione, la logica di farmaci, e la pianificazione per la psicoterapia individuale sono esempi di questioni che possono essere affrontate durante le discussioni riflessive. In generale, lo scopo è quello di aprire una gamma di alternative da cui si possono fare scelte e prendere decisioni. L’open meeting si conclude quando l’équipe ritiene che i temi importanti sono stati affrontati. È tuttavia importante sentire il parere dei clienti, e domandare loro se hanno bisogno di discutere qualche altra problematica. Alla fine dell’incontro è utile riassumere i temi emersi, e in particolare le decisioni che sono state prese. L’ODA considera la crisi come l’elemento che permette di rifabbricare continuamente storie, identità e relazioni che costruiscono il sé e la realtà sociale. Tutte le voci devono essere ascoltate, anche quelle contraddittorie, poiché questo è l’unico modo attraverso cui è possibile creare una nuova narrazione condivisa che sia terapeutica. Creare una nuova narrazione significa acquisire nuove parole per descrivere e pensare i problemi. Dare voce a quanto non era esprimibile è ciò che premette al dialogo di divenire dialogico. La conversazione dialogica si presenta come un processo co-evolutivo di ascolto e comprensione. Lavorare in équipe permette di ampliare la spiegazione del problema e assicura che la voce di ogni partecipante all’incontro sia ascoltata. Emergono allora nuovi orizzonti di significato e nuove prospettive, e viene favorita la co-costruzione di nuovi vocaboli, parole e linguaggi condivisi per quegli eventi che non erano ancora esperienza narrabile. Open Dialogue: intervista a Jaako SeikkulaLascia una Risposta. |
AutoreGiorgio Franzosi è psicologo psicoterapeuta e terapeuta EMDR. Da diversi anni aiuta a ritrovare il proprio benessere psicofisico nel più breve tempo possibile. Lavora a Crema (CR) e Online. Categorie
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