C'era una volta un tale che chiese al suo calcolatore: “Calcoli che sarai mai capace di pensare come un essere umano?”. Dopo vari gemiti e cigolii dal calcolatore uscì un foglietto che diceva: “La tua domanda mi fa venire in mente una storia…”. G. Bateson, M. C. Bateson[1] Ciascuno di noi ha dentro di sé un romanzo familiare e ogni famiglia ha una storia da raccontare. A. A. Schützenberger[2] A furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie. D. Wallace[3]
A partire dagli anni ’90, la terapia sistemica è stata influenzata dall’incontro con la terapia narrativa, incontro che ha favorito il passaggio da una prospettiva sincronica - tipica del periodo strategico-sistemico - a una prospettiva diacronica, e che ha nel tempo portato a sviluppare un interesse per le storie, come esse si costruiscono e come sono costruite (Boscolo, Bertrando, 1996).
Con l’apertura della scatola nera[4] a metà degli anni ’70, la terapia sistemica ha cominciato a interessarsi alle connessioni tra eventi e significati (Boscolo, Bertrando, 1996), riscontrando come i sistemi umani che producono sintomi e sofferenza tendano a ingabbiarsi in storie deterministiche in cui il passato determina il loro presente e vincola il futuro (Boscolo, Bertrando, 1993). Scrivono White ed Epston (1989, p.19): “Nel tentativo di dare senso alla vita, le persone affrontano il compito di collocare le proprie esperienze degli eventi in sequenze temporali, in modo da arrivare a un resoconto coerente di se stessi e del mondo intorno a loro. Specifiche esperienze di eventi del passato e del presente, insieme a quelle che si prevede si verifichino nel futuro, devono essere connesse in una sequenza lineare per sviluppare questo resoconto. Al quale ci si può riferire come una storia o un’autonarrazione. Il successo di questo processo di costruzione delle storie fornisce alle persone un senso di continuità e significato rispetto alla propria vita, ed è su questo che possono fondere il senso della vita quotidiana e l’interpretazione delle esperienze future”. In questa concezione, la sofferenza che conduce le persone a cercare un aiuto terapeutico può essere letta come espressione di un’inadeguatezza tra le storie che le persone raccontano di se stesse e la propria attuale esperienza, oppure della discrepanza tra la loro esperienza e le storie che gli altri raccontano di loro. Il processo terapeutico diviene allora soprattutto un processo di rinarrazione delle storie, in cui le persone recuperano la possibilità e la capacità di essere autori – tramite l’interazione col terapeuta – di storie positive per sé, che attenuino la sofferenza e che restituiscano senso. Da qualche mese ho aperto una rubrica nel mio profilo Instagram in cui, ogni lunedì, propongo un testo fondamentale della psicologia sistemica o che ha una forte attinenza con essa.
Per ora sto semplicemente postando l'immagine con i riferimenti utili a recuperare il testo, ma l'idea è quella di creare un piccolo abstract per ogni libro contenente i concetti più importanti o che mi hanno più colpito. Ti aggiornerò non appena avrò introdotto questa novità, e nel frattempo ti auguro una buona lettura! I problemi che le persone portano in terapia non sono mai un qualcosa di dato, ma prendono forma nel momento stesso in cui i pazienti entrano in contatto col terapeuta.
In accordo con la teoria della cibernetica di secondo ordine, infatti, l'osservatore non è esterno al processo della conoscenza, ma anzi partecipa attivamente a costruire il sistema osservato e in ogni momento egli si rapporta col sistema con una comprensione che modifica la relazione con il sistema. L’Albero della Vita è uno strumento della psicologia narrativa ideato da David Denborough, che si basa sull’idea di usare l’albero come metafora per raccontare la storia della propria vita passata, presente e futura. La persona è invitata a pensare all’albero, alle sue radici, tronco, rami, foglie, ecc. e di immaginare che ogni parte rappresenta qualcosa della sua vita. Ci sono due modi per cercare di comprendere il mondo: uno è quello di considerare le cose, l'altro è quello di considerare le relazioni. Chi cerca di comprendere il mondo focalizzandosi sulle cose produrrà il più delle volte spiegazioni dormitive, cioè spiegazioni tautologiche e vuote. L'espressione "spiegazioni dormitive" è stato coniato da Gregory Bateson prendendo ispirazione dal "Malade imaginaire" di Molière.
Le domande sono un potente strumento di conoscenza, scoperta e cambiamento e saper porre (buone) domande è una vera e propria arte.
Gli psicologi sistemici lo sanno bene, e dedicano buona parte della loro formazione a imparare a fare domande. Lo psicologo sistemico formula domande sulla base di ipotesi, che a loro volta vengono elaborate connettendo idee, mappe cliniche, narrazioni, emozioni, vissuti, premesse e pregiudizi. Tra i vari tipi di domande tipiche dello psicologo sistemico, quelle più utili a favorire il cambiamento sono senza dubbio le così dette domande riflessive. La rabbia è un'emozione che tutti noi conosciamo.
Non ha età, sesso o cultura di appartenenza.
Quante volte ti sarà capitato di arrabbiarti con qualcuno, magari perché ti ha fatto un torto, o negato qualcosa di importante? O di arrabbiarti con te stesso, magari dopo aver realizzato di aver preso una decisione sbagliata? Parliamoci chiaro: la rabbia è una emozione primaria estremamente importante. Può aiutarci a raggiungere un obiettivo, a superare un ostacolo o a difenderci da un pericolo. In questo senso, la rabbia è una emozione adattiva, cioè fondamentale per la sopravvivenza degli individui e delle specie. Ma la rabbia può anche essere distruttiva e pericolosa. Oggi voglio proporti un divertente test
Guarda questo breve filmato in cui due squadre si passano la palla. Stai concentrato e cerca di contare quanti passaggi effettua la squadra con la maglia bianca. Poi scorri il post per vedere la soluzione e leggere alcune riflessioni.
La psicoterapia è la cura attraverso la parola. Dentro la stanza di terapia, la conversazione tra psicologo e paziente diviene lo strumento principale del processo di cambiamento (ho già parlato altrove dell'importanza del linguaggio per lo psicologo sistemico).
Ci sono tuttavia situazioni in cui le persone faticano a trovare le parole per raccontare le proprie cose, vuoi perché troppo dolorose, o troppo imbarazzanti, o troppo oscure e incomprensibili, o ancora, paradossalmente, troppo note. Come fare in queste situazioni? Lo psicologo sistemico possiede nella propria cassetta degli attrezzi numerosi strumenti che permettono alla persona di narrare e narrarsi in modo alternativo alla parola. "Noci di Cocco" è uno di questi strumenti. |
AutoreGiorgio Franzosi è psicologo psicoterapeuta e terapeuta EMDR. Da diversi anni aiuta a ritrovare il proprio benessere psicofisico nel più breve tempo possibile. Lavora a Crema (CR) e Online. Categorie
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